Storia dei manifesti pubblicitari

Per quanto ad oggi locandine e manifesti pittorici cinematografici vengano spesso considerati oggetti da collezione il loro scopo originario era prevalentemente pubblicitario e divulgativo.

Le ragioni di un così vasto impiego di tale mezzo sono strettamente legate al processo di industrializzazione iniziato nella seconda metà dell’Ottocento.

L’aumento della ricchezza media e l’avvio di produzione in serie delle merci portarono infatti alla necessità di catturare l’interesse delle classi sociali emergenti per evitare un eccessivo squilibrio tra offerta e domanda.

L’evoluzione della tecnica

Dalla metà del ‘400, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Johann Guttenberg, si era diffusa l’abitudine di affiggere per le strade avvisi di gare, spettacoli, stampe, bandi e leggi.

Dal punto di vista tecnico però fu la stampa litografica, nata nel 1796 ad opera di Alois Senefelder, a cambiare il modo di fare pubblicità dando il via alla riproduzione di immagini molto più complesse, in alte tirature e a basso costo.

Quando poi la tecnica della litografia monocromatica fu affiancata dalla cromolitografia l’illustrazione a stampa aprì le porte alla nascita delle locandine e dei manifesti pittorici moderni.

Questi, a differenza dei primi cartelloni il cui scopo era prevalentemente divulgativo, si proponevano l’obiettivo di promuovere i prodotti trasformandoli in oggetto del desiderio.

L’intento non era più la semplice descrizione ma la creazione di un bisogno all’acquisto.

Le origini

Jules Chéret, uno dei padri del manifesto pubblicitario che ne realizzò a migliaia per teatri e locali francesi, nella fine dell’800 stravolse i canoni di impaginazione del tempo scegliendo di dare maggior risalto e importanza alle figure piuttosto che ai testi.

Come lui il pittore e pubblicitario tedesco Adolf Hohenstein coinvolse diversi artisti nella ricerca di un nuovo linguaggio grafico per l’ideazione di manifesti murali, cartoline postali e libretti d’opera. 

In quest’ottica iniziarono a realizzare locandine e manifesti cinematografici in cui ogni elemento ritratto era stato pensato per attirare l’attenzione dei clienti spendenti. 

L’industria cinematografica

Riconoscendo in questo tipo di comunicazione un linguaggio adeguato allo scopo l’industria cinematografica iniziò ad affiggere locandine e manifesti nelle vetrine, sulle facciate dei palazzi, fuori dalle sale cinematografiche e lungo le fiancate dei mezzi di trasporto.

Questo tipo di illustrazioni continuava a sfruttare l’intreccio tra grafica e comunicazione pubblicitaria ma iniziò a prendere consapevolezza di una differenza importante: in vendita non c’era un bene ma un’esperienza emozionante.

Sulla base di questa consapevolezza gli artisti pittori svilupparono un nuovo linguaggio visivo in cui immagini, segni e colori servivano ad anticipare le emozioni del cinema.

L’evoluzione dello stile

Nonostante lo stile dei singoli artisti, che in base a ricerche personali o all’influenza dei movimenti pittorici indirizzavano il proprio operato in una direzione piuttosto che in un’altra, è possibile individuare un’evoluzione stilistica comune.

In un primo momento il linguaggio visivo era particolarmente narrativo, le tinte scelte cangianti e pur trattandosi di immagini figurative l’effetto ricercato più che realistico era vibrante.

Successivamente, con l’ascesa di Hollywood, i grandi volti dei divi iniziarono a dominare l’immagine conquistando importanza sia come personaggi cinematografici sia come attori.

In ultimo si arrivò alla realizzazione di composizioni più sintetiche, a tinte piatte, con l’inserimento di linee di contorno per definire i soggetti e in alcuni casi l’introduzione di elementi fotografici.

Dalla fine degli anni ’90 la produzione dei manifesti pittorici per il cinema iniziò drasticamente a ridursi ma nel tempo la bellezza delle opere realizzate seppe ritagliare ai pittori del cinema un meritato spazio nel mondo dell’arte.